Correva l’anno 1906 quando Karl Ludwig Nessler, meglio noto come Charles Nestlè (ai tempi, un tocco di francesismo era necessario per avere successo nel campo della coiffure), esegui la prima permanente capelli nel suo salone di Oxford Street. Una chioma mossa in modo duraturo era il desiderio di molte donne in quel periodo, ma il solo calore non poteva garantire la permanenza del risultato.

Charles capì che i capelli andavano precedentemente ammorbiditi e resi più docili grazie a un trattamento chimico con una sostanza alcalina. Creò poi un sistema di bigodini di bronzo, riscaldati elettricamente: i bigodini, attorno ai quali venivano arrotolati i capelli, erano caldissimi, quindi pendevano dall’alto per evitare contatti con la testa. Un sistema laborioso e costoso non ben accettato dai parrucchieri, che lo vedevano come un meccanismo che oscurava l’aspetto creativo della professione.

La crescita della domanda riguardante la permanente capelli si registrò quando si imposero i capelli corti nella moda femminile, verso la fine della prima guerra mondiale, ma fu necessario aspettare gli anni ‘20/’30 per trovare metodi nuovi e innovativi.

Lo svizzero Eugène Suter e lo spagnolo Eugenio Isidoro Calvete svilupparono un sistema di tubolari in cui erano inserite due bobine in un tubo di alluminio con i capelli avvolti a spirale, mentre nel 1928 l’afro-americana Marjorie Joyner brevettò una macchina in cui i capelli erano arrotolati in cilindri.

Emblema della modernità, Coco Chanel fu tra le maggiori e prime fan dei capelli corti e mossi (siamo intorno al 1920). Seguirono molte star hollywoodiane e non come, la “fidanzatina d’America” Mary Pickford, la biondissima Jean Harlow e la magnetica Marlene Dietrich.

I tubi si scollegarono dalla corrente elettrica grazie a iCall, la tecnologia inventata dalla società Calvete e presentata a Londra nel 1935 durante l’Hairdressing Fashion Show. Un successo senza uguali.

Il prototipo del sistema maggiormente in uso oggi è invece stato inventato nel 1938 da Arnold F. Willat: “the cold wave”, l’onda fredda.

Dal 1940 in poi la permanente diventò una questione a carico dei laboratori delle maggiori aziende: la permanente a freddo Oréol di L’Oréal è del 1945, mentre quella di Testanera, oggi Schwarzkopf Professional, del 1947. Questo anche perché negli anni ’50 si sentì il bisogno di tornare a tagli medi e bon ton, impreziositi da ricci. “In quegli anni la permanente era al suo picco. Le donne evitavano i capelli lisci. Ogni giorno in tutti i saloni si facevano 10 o 15 permanenti” racconta a Estetica.it Lluìs Llongueras.

Dopo un periodo di buio, la permanente capelli tornò in auge negli anni ’80, ideale per completare le famose spalline delle quali nessun capo di abbigliamento era privo. “Negli anni Settanta avere i capelli ricci era uno scandalo: tutti stiravano i capelli. Negli Ottanta, invece, c’è stato il vero grande boom: andavano di moda gli scalati, c’era bisogno di volume. Le clienti richiedevano permanenti una dopo l’altra e i capelli si rovinavano facilmente se l’acconciatore seguiva incautamente i loro desideri. È stato questo il motivo che ha portato a un graduale rifiuto della permanente, finché è poi praticamente scomparsa” racconta Sergio Valente a Estetica.it.

E cosa dire della permanente capelli ai giorni nostri? “C’è un ritorno della permanente con prodotti molto soft, che non rovinano la struttura del capello.
Se un parrucchiere vuole seguire la tendenza volume, un supporto di permanente, anche leggera, è indispensabile” spiega Gigi Gandini.


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