Fino a qualche tempo l’ ipersensibilità cutanea era sottovalutata. Oggi sappiamo che esiste una vera e propria patologia, identificata come “cute sensibile”, sindrome già ipotizzata da Kligman nel 1977, ma riconosciuta da Thiers nel 1986, che la definisce come un’anomala e subclinica risposta sensoriale della pelle a farmaci topici, cosmetici, detergenti, fattori fisici e atmosferici (calore, freddo, vento, sole), fattori psicologici (stress), ormonali (ciclo mestruale), in assenza di segni clinici di irritazione.
Nel tempo tale sindrome è stata descritta anche come pelle iperreattiva, intollerante, irritabile, e così via, tutti sinonimi per identificare lo stesso disturbo cutaneo che si manifesta con prurito, pizzicore, bruciore e senso di tensione, soprattutto al volto e, in particolare, nella zona nasogeniena (alta densità ghiandolare ed elaborata rete di terminazioni nervose), qualche volta il collo e più raramente il capillizio.
L’ ipersensibilità cutanea interessa soprattutto l’età giovanile/media, è legata a fattori costituzionali, è modulata da cause ambientali (caldo, freddo, vento, sole, umidità, inquinamento, alimentazione), ma anche da fattori culturali (maggiore igiene, uso di cosmetici e profumi, una maggiore cura di sé e quindi più attenzione anche alle minime variazioni della propria pelle). Infine, sicuramente è peggiorata dalla presenza di pregresse e/o coesistenti patologie cutanee, quali la dermatite atopica, la dermatite seborroica, la rosacea, la dermatite periorale.